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Poggioreale Via Emanuele Gianturco, 101

Officina 99, vent'anni di occupazione e lotte sociali. L'intervista

Il simbolo di una generazione in rivolta studentesca e di molte battaglie. "Officina ha saputo resistere a mode culturali e stagioni politiche ritenendo essenziale alla vita di ognuno lo sforzo per la costruzione di spazi comuni"

Officina 99, uno dei più noti e attivi centri sociali occupati e autogestiti d’Italia, ha compiuto 20 anni. Era, infatti, il maggio del 1991 quando una vecchia officina in via Gianturco, di proprietà di un privato ma abbandonata dal 1977, fu occupata da un gruppo di studenti e da militanti di Autonomia Operaia. Il centro divenne presto punto di riferimento per tanta parte della gioventù di quegli anni e da lì mosse i primi passi anche il gruppo musicale 99 Posse che ne sposò la causa e ne raccontò la nascita e gli intenti nella famosissima canzone “Curre curre guagliò”, divenuta presto il simbolo di una fetta considerevole di un’ intera generazione di ragazzi e studenti. Ma l’attività di Officina 99 non si è mai assopita in questi anni, i suoi militanti sono sempre in prima linea per le battaglie sociali e, proprio loro, in una intervista ci raccontano, con la passione che sempre li contraddistingue, questi venti anni di occupazione, di lotta, di speranza e voglia di cambiamento.

Da dove nacque nel '91 l’esigenza di “occupare”, a Napoli, uno spazio che diventasse un centro sociale autogestito? E quale idea di "realtà sociale" era alla base della nascita di Officina 99?

L'occupazione di Officina99 nasce dall'esigenza di alcuni militanti vicini alle esperienze dell'Autonomia Operaia dentro il difficile contesto degli anni '80 di aprire una fase nuova delle lotte a Napoli. Qualcosa che mettesse insieme la tradizione di quella parte del movimento comunista "eretico" che era sopravvissuta alla repressione degli anni Ottanta con le energie nuove che venivano dalla società. Il Movimento della Pantera, primo vero episodio di protagonismo studentesco da almeno dieci anni, fu in questo senso l'occasione per legare quei militanti provenienti da varie esperienze "postume" rispetto al fermento degli anni Settanta e le energie che provenivano da quella rivolta studentesca. Occupare uno stabile voleva dire mettere in piedi un progetto di radicamento nuovo nella società, aprire un laboratorio culturale e politico che avesse uno spazio "fisico" dentro cui far convergere le energie e le insofferenze di quella generazione di giovani che si affacciavano al decennio degli anni Novanta. E poi provare ad aprire uno spazio politico nuovo, fuori dai Partiti che si erano sbriciolati sotto i colpi della Magistratura e dagli spazi tradizionali della sinistra, incapaci di afferrare i nuovi linguaggi che nascevano nell'underground cittadino che sarebbero stati, poi, il veicolo di comunicazione privilegiato con una generazione cresciuta dentro il dissenso e la pratica politica antagonista. A pensarci oggi, se si considera la presenza nelle lotte sociali della città e del Paese in generale, la produzione artistica e culturale e l'importanza, dentro il deserto attuale che è Napoli, quella scommessa è stata vinta.

Cosa è cambiato in questi venti anni e cosa invece si è conservato intatto?

È cambiato tutto. Senza intaccare il nodo di fondo, il comando capitalista sulla società. Sembrano parole antiche, che qualcuno ha provato a catalogare come superate. In realtà, sebbene sia vero che una riflessione attenta ai linguaggi e al loro mutare (rapidissimo nell'era del web) sia ancora incompleta da parte nostra, è la realtà a dimostrare l'attualità di quel concetto. Precarietà, accentuazione progressiva del divario tra ricchi e poveri, distruzione dello Stato Sociale correlata a un iniquo sistema contributivo, saccheggio delle risorse naturali, devastazione ambientale. Bastano queste immagini, sotto gli occhi di tutti non nei talk show in cui i politici si azzuffano come galline, ma nella vita quotidiana delle persone a far comprendere quanto il capitalismo sia incompatibile con la democrazia. Quella reale e non quella del teatrino elettorale. Si è conservata intatta anche la nostra voglia di costruire un orizzonte nuovo. La tornata elettorale ancora in corso dimostra più che mai quanto sia necessario un elemento di rottura dentro un panorama politico asfittico, in cui il massimo del radicalismo che si può trovare è quello di esperienze che vengono dai movimenti e provano a "entrare" dentro le istituzioni. È roba vecchia, l'entrismo non ha mai funzionato, noi crediamo che il nodo stia altrove. La stagione delle lotte ambientali negli ultimi anni ha insegnato che le battaglie si vincono, che è ancora possibile creare legami con la società per convergere su battaglie politiche che non hanno bisogno di delega, di farsi rappresentare da qualcuno che poi porterebbe le istanze del territorio al "mercato delle vacche". I bisogni reali, organizzati dal basso hanno strappato , importanti vittorie. E più di ogni altra cosa hanno mostrato quanto il problema sia ripensare la "democrazia" italiana trovando spazi di agibilità sempre maggiori per i soggetti reali, organizzati dal basso. Che la politica si fa anche (e soprattutto) così. Sicuramente non siamo vicini alla presa della Bastiglia, anzi, ma abbiamo la certezza almeno di stare dalla parte giusta.

Adesso che lo stabile non appartiene più ad un privato, ma è un edificio pubblico di cui il comune non richiede lo sgombero, il centro sociale ha ancora lo stesso scopo?

La proprietà dell'immobile non è mai stata una questione di Officina99. Lo stabile di Gianturco è stato occupato vent'anni fa, era abbandonato, chiuso da anni. Il lavoro gioioso e pieno di entusiasmo di compagni e compagne, alcuni dei quali non ci sono più, ha operato una trasformazione incredibile. Una tetra officina abbandonata della periferia di Napoli è passata dall'essere un residuo dell'industrializzazione a soggetto vivente, carico delle energie di chi lo ha attraversato. È un edificio trasformato nelle funzioni e nella struttura. È importante sottolineare che nel corso degli anni la manutenzione dello stabile è stata completamente a carico del centro sociale, mai una lira o un euro sono stati versati dal Comune o da chicchessia nelle nostre casse. Quello scheletro abbandonato è un corpo vivente della città da vent'anni, sinceramente la proprietà dello stabile è veramente una questione di poco conto. Il Comune ha scelto di acquisirlo, di sicuro non lo avremmo ceduto al proprietario in nessun modo. Gli scopi del centro sociale sono gli stessi, il problema della proprietà dei muri è questione che non ci appassiona per niente. Per noi lo stabile di via Gianturco è Officina99, lo testimonia ogni singolo mattone che ha ospitato questo laboratorio politico e culturale negli ultimi due decenni.

Officina 99 è ancora emblema e simbolo di protesta, lotte sociali e controcultura di massa. In che modo resiste ancora questa realtà di condivisione e solidarietà in una società come quella moderna, fatta soprattutto di personalismi (anche politici) e individualismi sfrenati?

Resiste con fatica, certo, negli ultimi anni gli spazi di agibilità dei movimenti si sono ristretti. Dopo una fase, all'inizio del secolo, che pareva aprire la possibilità di una stagione politica importante, tutte le forze attive nell'area dell'antagonismo hanno subito un arretramento. E' una stagione difficile, in cui gli spazi all'interno dell'università e del mondo del lavoro diventano stretti, in cui un processo lento e costante di colonizzazione dell'immaginario rende inimmaginabile anche solo l'idea di una società più giusta. Dentro questo contesto difficile un centro sociale come il nostro continua ad avere un valore perché ha saputo costruire un immaginario differente. Ha saputo resistere a mode culturali e stagioni politiche ritenendo essenziale alla vita di ognuno lo sforzo per la costruzione di spazi comuni. Recentemente lo scrittore Valerio Evangelisti ha scritto che della triade concettuale della rivoluzione francese, sicuramente liberté ed egalité sono stati i concetti cui si è prestata la maggiore attenzione ma che in spazi come questo, la pratica quotidiana ha posto l'accento sulla fraternité, la capacità di sentire tuo un luogo che è anche di altri, tue le vicende che appartengono a un luogo condiviso. Ecco, forse aver praticato la fraternité per tutti questi anni sicuramente significa aver seminato un'idea importante, forse necessaria per costruire una società migliore.

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